un nuovo approccio alla vendita
La vendita non è il nemico
Siamo abituati a vedere la vendita come un atto sporco, becero, poco etico.
Ma è davvero questo il suo significato autentico?
La vendita è, prima di tutto, relazione.
E come ogni relazione, non è intrinsecamente buona o cattiva: dipende dal contesto, dall’intento, dall’approccio.
Eppure nel linguaggio comune “vendere” ha spesso una connotazione negativa.
Io stesso, per anni, ho provato un senso di disagio ogni volta che mi confrontavo con questo termine.
Il dizionario aiuta a spiegare il perché: in senso figurato, vendere può voler dire raccontare o divulgare notizie false spacciandole per vere.
Inoltre, nel gergo quotidiano, dire che qualcuno “si è venduto” equivale a dire che ha tradito la propria integrità per denaro.
Non c’è da stupirsi, quindi, se ci risulta difficile associare la vendita a qualcosa di nobile.
Nessuno vuole essere visto come un truffatore o un manipolatore.
Eppure, questi pregiudizi hanno una ragione d’essere.
Esistono venditori sfacciati, disposti a tutto pur di chiudere una trattativa.
Sebbene siano una minoranza, purtroppo sono proprio questi venditori poco etici a danneggiare l'immagine complessiva della professione.
Due approcci alla vendita
Nel mio percorso, ho riconosciuto due approcci distinti alla vendita: quello basato sul convincimento, e quello basato sullo scambio reciproco.
Il primo è quello che conosciamo meglio.
È la vendita del porta a porta, dell’approccio a freddo, dei messaggi su LinkedIn che iniziano con “Ciao Marco, ho visto il tuo profilo e...”.
È un modello che si basa sulla pressione, sulla persuasione forzata, su tecniche di manipolazione nascoste con sorrisi di plastica.
Anche quando il prodotto è valido, questa modalità genera diffidenza.
Perché manca la cosa più importante: l’ascolto dell’altro.
Il secondo è molto più raro, ma infinitamente più efficace.
È la vendita che nasce da una relazione, da un interesse reale da parte di chi ti contatta, da un bisogno che tu puoi risolvere.
In questo caso, la vendita non è un’imposizione, ma una negoziazione consapevole in cui entrambe le parti cercano un accordo che porti valore reciproco.
Metaforicamente parlando potremmo dire che il primo approccio è simile alle dinamiche che si creano su Tinder. Scrivi 100 messaggi sperando che qualcuno risponda.
Il secondo è come una relazione che nasce spontaneamente, magari da un'amicizia o da una conoscenza casuale.
Necessita di più pazienza, ma l’amore sboccia con maggiore naturalezza.
Il marketing spiega molto bene il concetto appena espresso.
Solo il 3% del tuo pubblico è pronto ad acquistare.
Il restante 97% ha un’interesse reale verso il tuo prodotto, ma ancora non ne è consapevole.
Questo grado di consapevolezza, però, non si raggiunge con la convinzione, ma tramite la costruzione di un rapporto di fiducia.
E come fare per ottenerlo?
Semplice, per raggiungere questo scopo devi prima offrire, non chiedere.
Devi donare valore senza intavolare la trattativa.
Costruire fiducia è l’unica strada per fare della vendita un gesto etico e sostenibile.
Il venditore etico è un medico, non un farmacista
Un buon venditore non prescrive soluzioni preconfezionate.
Fa una diagnosi.
Ascolta.
Capisce.
E solo dopo propone.
Come un medico che, prima di dare una medicina, cerca di comprendere le cause del malessere.
Il cliente, spesso, non conosce il proprio problema con precisione.
Spetta al professionista aiutarlo a vederlo, nominarlo, affrontarlo.
Quando questo accade, la vendita non è più una trappola, ma un atto curativo.
Dobbiamo riprogrammare il nostro immaginario
Nell’immaginario collettivo, il venditore è ancora “Il lupo di Wall Street”.
Ma se ti dicessi che anche il tuo artista preferito è un venditore?
Tutti vendiamo qualcosa: un’idea, una visione, un messaggio.
Quando acquistiamo il biglietto del concerto del nostro gruppo preferito stiamo offrendo denaro per ricevere in cambio un’esperienza che ci emoziona.
Quando acquistiamo il romanzo del nostro autore preferito stiamo facendo lo stesso.
Il problema non è vendere.
Il problema è come lo facciamo.
Serve un nuovo modello: non aggressivo, ma autentico.
Non invasivo, ma relazionale.
E soprattutto: etico.
Se sei freelance, da dove iniziare?
Se sei agli inizi, sappi che è normale essere sottopagato.
Fa parte della gavetta.
All’inizio sei come il ragazzo su Tinder che cerca di farsi notare tra mille.
Quello che puoi fare per evitare il più possibile questa situazione è trovare collaborazioni con altri professionisti che hanno già un giro di clienti e proporti di aiutarli.
In questo modo potrai metterti alla prova, offrire il tuo valore e soprattutto fare esperienza.
Poi, potrai iniziare a promuoverti in modo più strategico e non invasivo.
E qui entra in gioco l’importanza dello stile personale, della tua unicità comunicativa.
Per non essere troppo prolisso e ripetitivo non entrerò nel merito di questo discorso in quanto ne ho già parlato in questo articolo (se non l’hai letto, di consiglio di farlo!).
Ti aiuto a trovare il tuo stile
Il mio lavoro è proprio questo: aiutarti a trovare il tuo tono, il tuo posizionamento, il tuo modo di proporti in modo naturale, umano, ma anche efficace.
Se vuoi candidarti per una collaborazione, puoi farlo tramite questo link.
Vedremo insieme se posso aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi.
Per il momento è tutto.
With all my love,
Marco