Il problema dell’identità e del posizionamento
Chi sono io? Che ruolo ho in questo mondo? Se cambiassi completamente personalità da un giorno all’altro, sarei ancora me stesso?
Domande scomode, lo so.
Eppure sono quelle che mi accompagnano da sempre.
Non esistono risposte definitive, e probabilmente mai ne avremo.
Ma alcune verità parziali possono aiutarci a navigare meglio in questo caos legato all’identità.
Sono Marco Alberti, consulente di comunicazione con un approccio che affonda le radici nella ricerca artistica e filosofica.
Comunicare bene non significa solo “essere bravi a parlare”.
Significa trasformare ciò che senti, vivi e pensi in un linguaggio comprensibile agli altri.
E per farlo devi scavare.
Devi domandarti se quello che stai dicendo ti rappresenta, se le parole che usi reggono il confronto con la tua coscienza.
Ma c’è un paradosso interessante: non potremo mai conoscerci fino in fondo.
Il viaggio alla scoperta di sé è infinito.
Moriremo, e qualcosa di noi ci resterà ancora sconosciuto.
E allora, ha senso comunicare se non possiamo mai definirci davvero?
Sì, ed è proprio per questo che dobbiamo farlo.
Perché comunicare è parte integrante del viaggio.
È un modo per osservarsi, chiarirsi, e cambiare forma.
Ogni volta che condivido un pensiero, mi interrogo su di esso.
Ogni volta che esprimo qualcosa, mi capisco un po’ di più.
La comunicazione, se fatta con onestà, non cristallizza chi sei: amplifica il tuo cambiamento.
Anche Socrate, che odiava la scrittura proprio perché “immobilizzava” il pensiero, riconosceva il valore del dialogo.
Seppur riconosca la validità del pensiero del filosofo greco, credo che la comunicazione scritta o visiva, se fatta con consapevolezza, non serve a definirci per sempre, ma a lasciare tracce del nostro percorso.
Pezzi di puzzle.
Frammenti utili ad altri per costruire il proprio.
Il posizionamento, nel marketing e nella comunicazione, è il modo in cui vieni percepito.
È il posto che occupi nella mente degli altri.
Capite dunque che il posizionamento è strettamente legato al concetto di identità.
E l’identità, per me, non è una maschera che scegli di indossare.
È un processo in divenire.
Non siamo noi a decidere a tavolino chi essere.
È l’esperienza a formarci.
Il confronto col mondo.
Le cadute.
Le scelte.
Gli errori.
Gli incontri.
È l'identità che si rivela a te, non sei tu a sceglierla come abiti da abbinare nel tuo armadio.
Ma allora che ruolo abbiamo in tutto questo?
Non siamo del tutto passivi.
Possiamo essere presenti nel processo, possiamo osservarci con lucidità, possiamo raccontarci con sincerità.
Non per manipolare la realtà, ma per descriverla con le parole giuste.
Le parole, se usate bene, non servono a truccare la verità: servono a farla emergere.
Possiamo chiamare un cane "lavastoviglie", ma questo non lo farà magicamente smettere di scodinzolare per iniziare a lavare i piatti.
Il posizionamento non è una meta.
È un metodo.
Come l’identità, anche il posizionamento non si raggiunge.
Si pratica.
Si vive.
Si aggiorna.
È una lente attraverso cui osservi te stesso nel mondo.
È chiederti ogni giorno: quello che sto facendo è davvero in linea con quello che sento?
Per sviluppare questa pratica, voglio lasciarti con due esercizi semplici ma potenti:
Osservati con attenzione.
Ogni volta che fai qualcosa, chiediti “perché lo sto facendo?”.
Le risposte sincere che ne usciranno sveleranno pezzi della tua identità.
Collega le tue passioni.
Cosa unisce i tuoi interessi? Cosa torna, sempre, anche nei contesti più diversi?
Trova quel fil rouge. Potrebbe essere il cuore del tuo posizionamento.
Se non ti conosci, comunichi male te stesso.
Se comunichi male te stesso, rischi di essere giudicato per quello che non sei.
Le persone giudicano costantemente, lascia almeno che lo facciano mostrando loro quello che sei veramente.
E ricorda, il posizionamento non è l’etichetta che ti incolli addosso, ma la voce con cui racconti il tuo divenire.
E allora: continua a cambiare, continua a osservarti, continua a raccontarti.
Non per piacere a tutti.
Ma per continuare a riconoscerti.